di francesco de rosa |


Nell’anno ’48 l’Italia iniziava a costruire quel miracolo economico che ancora si contorna di fascino nei libri di storia patria. Cruciale, determinante, straordinario. Fummo capaci, come nazione e come popolo, di lasciarci alle spalle la devastazione di una dittatura e di una guerra (persa) come pochi per avviarci ad essere tra le prime dieci potenze economiche al mondo. Quell’anno, il 3 di marzo, in una contrada di Sant’Anastasia, chiamata Ponte di ferro/Starza, ai confini con Pomigliano d’Arco, si stava componendo il nucleo di una famiglia operosa e contadina che si sarebbe dedicata, subito dopo e così per anni, al commercio di una piccola “bottega”. Si chiamavano così le belle salumerie di un tempo. Ci trovavi tutto e da loro ci trovavi anche mangimi e crusca. Lì Giuseppina e Raffaele Piccolo dopo essersi sposati e data al mondo, appena due anni prima, era il ’46, la loro prima figlia, Giannina, fecero nascere nell’anno 1948 Michele primo tra i tre maschi che la loro giovane famiglia avrebbe generato (Michele, Pasquale e Salvatore) quando ai maschi, soprattutto se primi, in quei tempi, toccava seguire il mestiere del padre. Così a lui accadde di alzare sacchi da terra per sistemarli al prossimo utilizzo, lavorare sin dalla più giovane età, formare la prima linea di una educazione di vita familiare che il padre volle impartirgli. Michele Piccolo è cresciuto così che oggi, nel giorno del suo 73 esimo compleanno, è riuscito come pochi a mantenere la giovinezza della mente. Ci vuole quella per continuare a sognare come se si fosse nati oggi come accade a lui. Ci vuole quella per stare a testa in su a guardare, come fossero vette, altri prossimi e possibili traguardi. Sarà per questo che una foto, più di altre, può essere bella, per me, tra le tante che pure in questi anni sono riuscito a scattare. Appartiene ad un cantiere che oggi è diventato un cash, nuovi uffici ed un nuovo punto vendita che fattura più di 20 milioni di euro lungo una strada dove prima non c’era nulla di bello se si fa eccezione delle fabbriche che hanno le loro sedi da decenni a Pomigliano d’Arco.

Oggi dagli uffici di via Luraghi, strada d’ingegno che collega il confine esile tra Pomigliano e Castello di Cisterna, il primogenito maschio della famiglia Piccolo tiene saldo il timone di una nave diventata, negli anni, un’enorme imbarcazione. Naviga sicura, come poche, dentro il grande mondo del cibo. A bordo ci sono quasi mille persone se si considerano anche tutti quei collaboratori esterni che con l’azienda Piccolo hanno rapporti quotidiani e duraturi. Ci sta Giusi e Raffaele Piccolo, i due figli di Michele a cui tocca onorare una grande storia come già fanno ogni giorno. Ci sono anche tanti altri componenti della sua famiglia d’origine e di quella, assai più estesa, che si è creata negli anni con il lavoro. Ci sono panettieri, pasticceri, cuochi, bayer, avvocati ed impiegati, addetti alle aree vendita, addetti alle casse, ai banchi, ai trasporti, agli acquisti e alle vendite, ai magazzini e ai depositi. Ci sono i lavoratori impegnati al Centro di Distribuzione, quelli dello Zuccherificio che è a Marigliano, quelli del Cash & carry che è nuovo di zecca e si chiama Carico come quello che aveva già una storia nata alla Starza sin dal principio. Un “esercito” immenso di uomini, donne ed idee, di ogni età e provenienza, animato solo dalla voglia e dalla volontà di fare bene il proprio lavoro e fare grande l’azienda nella quale lavorano da poco o da tanto. In questi anni e ancor di più in questi mesi ne avrò sentite a decine di loro testimonianze che raccolgo con cura e riservatezza per animare il grado di motivazione con il quale si può lavorare ogni giorno meglio. Mi hanno raccontato le loro storie, hanno voluto condividere con me, con le loro parole, il valore ed il pregio di avere un posto di lavoro oggi, in mezzo ai tempi bui di una pandemia che non avevamo mai vissuto prima e che ha tolto il posto di lavoro a tanti. E non c’è stato un solo racconto dove io non abbia compreso, da loro stessi, chi e cosa rappresenta per loro il “signor” Michele Piccolo come tra loro è in suo chiamarlo. Così, a 73 anni, compiuti in quest’altro anno di pandemia (la cui portata, di questi tempi, lo scorso anno non avevamo ancora ben compreso) Michele Piccolo si sveglia sempre di buon mattino con la stessa identica lucidità e la stessa tenacia che aveva 33 anni fa, nel lontano 1988, quando fece nascere il suo primo supermercato dal nulla nel suo posto di periferia che nemmeno i primi rappresentanti delle aziende fornitrici riuscivano a trovarlo. O quando, molto prima, faceva anche due viaggi in 24 ore per andare e tornare due volte dalla Puglia caricando generi alimentari che vendeva sui due mercati locali. Restano impresse tante altre immagini di una storia lunga ed incredibile. Della bottega di famiglia dove ci sono anche la mamma di Giusi e di Raffaele, la signora Rita, con Salvatore e Teresa che nacquero dopo Michele. Un’altra foto ritrae i clienti in uno dei Natali vissuti a fare vendite nel primo supermercato della Starza a Sant’Anastasia. Ma, dal primo al più recente fotogramma, potremmo fermarci a guardare molte altre cose con tutte le parole che lui stesso ha saputo dire e condividere con le decine e decine di persone che in questi anni hanno lavorato assieme a lui. Come le parole di un’intervista, tra diverse altre, che realizzai cinque anni fa dove il capo e l’anima di un’azienda che oggi fattura 200 milioni di euro all’anno non si negò al ricordo e nemmeno all’umiltà che non ha mai abbandonato.

Michele, come da anni lo chiamo io, condividendo un legame umano forte, vero e leale, è il “fuoriclasse” che incarna appieno le qualità di un uomo tenace e semplice nato in uno dei posti più difficili d’Italia di cui conosco i contorni, le sfumature, i sacrifici, le insidie e le sfide avendo in quei posti le mie stesse radici. Michele è l’uomo che cercò soluzioni quando attorno c’erano soltanto problemi e strade quando davanti c’era solo un muro. Egli è colui che considera, oggi più ancora di ieri, i soldi soltanto un mezzo, qualcosa che abbiamo in comodato d’uso ed è capace di creare empatie scoprendo persino i versanti più umani e più veri di sé stesso con una trasparenza che desta sempre la stessa meraviglia e sa motivare più di mille formule. Colui che condivide slanci di generosità e d’altruismo amando la propria azienda come la sua famiglia più grande da seguire ogni giorno dell’anno. Che sia Natale, il 15 agosto o il giorno di Pasqua lo vedi lì nei punti vendita a supportare i ragazzi, ad osservare i dettagli, a trovare nuove iniziative, a vedere chiaro anche quando è un poco più buio. Michele è colui che riannoda gli sforzi di una vita che oggi conta 73 anni di storia, compiuti oggi e spesi tutti all’insegna del lavoro. Perché il lavoro è dignità. Fronteggia miserie, nobilita l’uomo e migliora il mondo. Per raccontare, più a fondo, la sua storia ho messo mano ad una biografia che uscirà nei prossimi mesi della quale anticipo qui, in anteprima, la copertina. Senza nessuna trama referenziale che, del resto, né io né lui preferiamo praticare. Nel frattempo, quest’articolo porta con sé, nel giorno del suo compleanno, in un anno di Covid e di pandemia, anche tutti gli auguri delle centinaia di lavoratori impegnati ogni giorno, anche nei giorni di questa pandemia, presso i supermercati Piccolo o negli altri opifici della stessa azienda a dare servizi e buon cibo al miglior prezzo possibile. Per questo nelle mie parole porto, con gioia, anche tutte le loro parole. Con la voglia di far arrivare, anche in assenza del contatto fisico di un abbraccio che occorre evitare per impedire la trasmissione del virus, i loro copiosi auguri affinché sia questo un giorno di festa e siano, i prossimi anni, i traguardi di tanti altri compleanni vissuti, quelli sì, all’insegna degli abbracci e delle strette di mano che, son sicuro, faranno la differenza e la gioia. Nel frattempo, un compleanno è sempre un giorno che si ricorda perché conta gli anni. E allora arrivino a lui, intatti, copiosi e ricchi, i miei, i nostri più cari auguri. Lunga vita a Michele Piccolo e alla grande comunità di lavoro operoso e proficuo che egli ha fatto nascere dal nulla, vissuto, difeso e vivificato in tutti questi anni. Di certo intensi, impegnativi e tanto faticosi. Non privi di rinunce personali, salite ripide ed ostacoli ma pur sempre bellissimi come la vita che li ha generati.